Il filosofo in carcere: il counseling filosofico in ambito penitenziario.

Il filosofo in carcere: il counseling filosofico in ambito penitenziario.

Giugno 1, 2022 Off Di Redazione

“Se il counseling filosofico ha la funzione di stimolare ed attivare le risorse personali degli individui che vivono situazioni di malessere esistenziale, allora non v’è dubbio che il microcosmo carcerario può e deve diventare una delle sue sedi di elezione. Una società politicamente organizzata su basi democratiche e governata dalla ragione non può d’altra parte consentire che l’umanità sofferente che affolla le prigioni venga privata, oltre che della libertà’ fisica, anche del diritto a migliorare se stessa, non già in senso banalmente moralistico, ma attraverso un lavoro di riflessione e di razionalizzazione dei propri pensieri e delle proprie condotte, di esame critico della propria visione del mondo, che possa portare alla revisione di credenze radicate ma mai realmente elaborate, alla conseguente apertura a diverse e più produttive opzioni comportamentali, e comunque ad una comprensione più completa e profonda del proprio sé del mondo esterno, con le prevedibili positive ricadute sull’intera compagine sociale” (Rivista Italiana di Counseling Filosofico, n. 11, 2015).

Con queste parole il magistrato e filosofo Giulio Toscano, uno dei pionieri del movimento che a livello internazionale conduce le Pratiche Filosofiche negli ambienti carcerari, introduce non tanto la possibilità quanto piuttosto la vera e propria necessità, per usare l’espressione di Giuseppe Ferraro, un altro pioniere della filosofia in carcere, di “una filosofia fuori dalle mura” che abita i “luoghi estremi sui confini delle città, sui confini del mondo […] quei luoghi in cui si possono dare questioni estreme” (2001, p. 110).

In carcere, come negli altri luoghi di applicazione delle Pratiche Filosofiche sopra delineati, il filosofo non va a insegnare la storia della filosofia né, tanto meno, va a trasmettere verità o modelli di “vita buona” a cui domandare ai detenuti o al personale penitenziario di aderire. Si tratta piuttosto di organizzare dei setting strutturati per offrire a costoro la possibilità di riflettere e dialogare su temi legati alla vita quotidiana che hanno una certa rilevanza filosofica. Una quotidianità che in quegli ambienti risulta per lo più frustrante, ossessiva, disumanizzante, ripetitiva e insopportabile, che la filosofia può, almeno momentaneamente, “sospendere”, per soffermarsi a domandare il senso delle cose, degli eventi e delle relazioni, alla ricerca di risposte a questioni importanti e inquietanti sulle quali magari nessuno dei partecipanti ai laboratori di Pratiche Filosofiche aveva posto in precedenza la giusta attenzione.

La nuova tendenza di aprire le carceri alla filosofia tenta di tradurre in parola filosofica il silenzio delle esperienze e dei vissuti dentro le mura degli istituti detentivi. La filosofia crea spazi dove attivare l’esercizio condiviso del pensiero in situazioni estreme, inesplicabili e inspiegate della vita, il luogo in cui l’esistenza ferita trova, a contatto con l’altra esistenza, l’occasione per riappropriarsi, responsabilmente, di se stessa.

In attesa di una riforma e di una ridefinizione del “pianeta carcere”, è opportuno intensificare gli sforzi perché ai detenuti e agli agenti penitenziari vengano offerti spazi ed occasioni di pensiero libero, dialogo ed ascolto per non renderli cinici ed insensibili. Considerazioni queste che dovrebbero convincerci che la reclusione costituisce l’ostacolo principale ad ogni forma di reinserimento sociale e di rieducazione, dal momento che la cultura della prigione riproduce soltanto se stessa, rendendo alla fine i detenuti incapaci di rapportarsi al mondo esterno e di condividerne le regole e i ritmi.

Le numerose esperienze che sono state realizzate in Italia hanno dato prova di come il carcere possa essere a tutti gli effetti (e forse a maggior titolo di altri) un luogo della filosofia – di una filosofia terrena, concreta e, diciamolo, utile, poiché disposta a sporcarsi col fango della vita. Una tale filosofia ricerca risposte aperte, mai definitive, a ciò che in un certo senso è devianza e stortura dell’umano ma che al contempo è massimamente umano, poiché è l’umano portato all’estremo.

Di recente è nato un nuovo progetto intitolato Dialogic Community Justice (DJC) che abbiamo realizzato presso il centro di mediazione penale minorile di Torino in collaborazione con il Tribunale e il Comune di Torino. La filosofia qui incontra i “giovani in messa alla prova” e offre loro l’occasione di riflettere sulla propria visione del mondo e sul senso delle azioni che hanno commesso.

 

Bibliografia.

Ferraro G., Filosofia in carcere. Incontri con i minori di Nisida, Filema, Napoli 2001

Toscano G.,  “Motivazione al cambiamento, contributo alla riabilitazione e ricerca di senso nel counseling filosofico penitenziario”, Rivista Italiana di Counseling Filosofico, n. 11, 2015, www.rivistacf.com